Quando i piatti della tradizione locale sono così numerosi e vari, come avviene nella cucina della provincia di Trapani, innovare è quasi uno spreco di energia. La terra e il mare offrono già una gamma così vasta di prodotti che, come per una tavolozza di colori, basta solo combinarli per ottenere un quadro ben riuscito.
La campagna trapanese offre un’enorme varietà di erbe spontanee, come la borragine, la cicoria, l’amato amarognolo “qualeddu”, che insieme ai capperi, alle olive, al finocchietto selvatico e al dolce pomodoro che il sole cocente delle estati africane trasforma in riserva di sapore per l’inverno, rappresentano la base delle salse usate nei piatti della tradizione trapanese. L’entroterra abbonda di frumento che da sempre ha sollecitato la fantasia in cucina, ispirando la preparazione di un ampio ventaglio di forme di pasta fatta in casa, per esempio busiate, cavate, gnocculi, oltre ad aver fatto esplodere l’amore per il cous cous. Ma è il mare che regala i suoi più prelibati e invidiati frutti: dal sale delle saline, unico sale europeo che vanta l’Igp e il presidio slow food, alla grande varietà dei prodotti ittici che vanno dal pregiato tonno, risorsa tradizionale di queste acque, all’umile cicirello, inimitabile nella “tempura siciliana”, passando per la lampuga, qui chiamata capone, alla quale San Vito Lo Capo dedica una speciale sagra in autunno, e la saggezza popolare un’espressione idiomatica rivelatrice della ricchezza alimentare di cui gode questa provincia: “tempu ri capuni” vuol dire infatti tempo di abbondanza.
“E’nostro impegno far riscoprire quanto è radicalmente diverso dai preparati precotti, il cous cous incocciato a mano – ha dichiarato Matteo Giurlanda, presidente provinciale dell’Unione regionale cuochi di Trapani – e in quanti modi è possibile gustarlo. C’è tale abbondanza di ricette tradizionali e tale varietà di interpretazioni che non basterebbe un libro per contenerle tutte. Il rischio però è che si perda la manualità della sua preparazione originale e che la velocità nella quale tutti siamo immersi travolga e ingoi le conoscenze relative alla creazione di questo nostro straordinario e versatile piatto. Per questo stiamo cercando di realizzare alcune registrazioni ufficiali delle varie fasi di questa preparazione, in modo tale da fornire uno strumento di conoscenza ai colleghi più giovani che vorranno apprenderle, ma anche per fissare un tassello nella memoria collettiva, salvando dall’oblio un pezzo del nostro patrimonio immateriale”.
La proposta del presidente Domenico Privitera di inserire nei menù dei ristoranti almeno un piatto per sezione che valorizzi i prodotti del territorio, si trova perfettamente in linea con la filosofia testimoniata dal presidente Matteo Giurlanda, che interpreta anche il cous cous secondo la stagionalità dei prodotti.
“Non c’è una ricetta che si possa dire immutabile e per tutte le stagioni – è la ferma determinazione del presidente provinciale di Trapani dell’Urcs – perché il pescato del giorno varia a seconda della stagionalità e dell’andamento del fermo biologico, come i prodotti della terra. Ma abbiano tante di quelle varietà di prodotti che potremmo anche non fare mai la stessa ricetta”.
Della ricchezza della tradizione gastronomica trapanese sono consapevoli tutti i cuochi più esperti della provincia che, come lo chef Francesco Mauceri (del quale sono pubblicate alcune ricette nello spazio riservato di questo magazine), non hanno bisogno di innovare molto per esprimere la propria fantasia.
“Basta poco per trasformare un piatto della tradizione – conferma lo chef Francesco Mauceri – come capovolgere una presentazione. Inserire all’interno del maialino le verdure che sono sempre state servite all’esterno, ad esempio, non produce soltanto una inversione di prospettiva, che è già un successo per il carico di stupore che produce, ma introduce delle obiettive novità nel complesso dei sapori. Il filetto di maiale risulta ancora più aromatizzato, morbido e succoso, mentre le verdure all’interno subiscono una cottura diversa, modificando la propria resa finale”.
Una esperienza simile, un’altra sorta di capovolgimento tra interno ed esterno, è toccata anche ad un altro prodotto Dop, tipico del trapanese, la famosa Vastedda della Valle del Belice, che la fantasia dello chef Francesco Mauceri ha rivisitata, presentandola in versione ripiena di sapori della terra.
“Ho proposto una versione volutamente sovrabbondante di sapori per la Vastedda del Belice – motiva lo chef trapanese – perché una terra ricca come la nostra provincia potesse godere di un proprio simbolo, così ho giocato su un’immagine capace di racchiuderne delle altre, tutte fortemente legate al territorio. Esattamente come ha chiesto il presidente regionale Domenico Prtivitera, invitando tutti gli chef a creare piatti che privilegiano i prodotti locali. Questo piatto di formaggio ai profumi della terra vuole apparire come uno scrigno, compatto e misterioso al suo esterno, ma ricco di sapori all’interno. Esattamente come la nostra Sicilia, che riserva le più belle sorprese solo a chi non si ferma a giudicarla al primo sguardo”.