I veri professionisti non si fermano all’apparenza: sanno che l’aspetto estetico di un grande piatto, come quello di una bella statua, rappresentano soltanto la veste finale di un intervento profondo, che prende l’avvio dalla scelta delle materie prime e passa per le varie fasi di una attenta preparazione.
Chi guarda con ossessione alla forma – come da tempo ormai ci bersagliano i social – non può che sperare nel magro bottino di riprodurre duplicati anonimi e senza carattere specifico.
Quando nella cucina c’è arte vuol dire che le mani del cuoco sono mosse da instancabile passione, la sua mente è ferma sulle impostazioni che non possono essere tradite o disattese, il suo cuore è rivolto al benessere del cliente e al patto di fiducia che a lui lo lega.
Per questo “una lezione” di manualità serve a chi si affaccia alla professione, ma “una testimonianza” di consapevolezza del proprio ruolo serve anche a chi conosce le tecniche e sa soddisfare i propri clienti.
La testimonianza che l’Urcs vuole offrire ai propri soci lunedì 27 – con un collegamento in diretta da Roma sulla piattaforma di “Google Meet” alle ore 15.00 – intende rispondere proprio alla profonda esigenza di ricercare il nocciolo dell’arte in cucina: una materia impalpabile ma fondamentale, che può essere chiamata anche “rito”.
Da oltre 3.000 anni la cucina Kosher tramanda regole, procedimenti e prescrizioni che formano un esempio, rimasto intatto nei secoli, di dedizione e ascolto, servizio e disciplina. E oggi, che l’emergenza sanitaria impone anche a noi cuochi attenzioni aggiuntive nelle procedure, la testimonianza che ci viene dalla storia vivente della comunità ebraica nel mondo può indicarci una via per riconoscere l’importanza della ritualità in cucina.
L’appuntamento che vi proponiamo, dunque, non è un incontro di “cucina etnica”, né l’ennesima esibizione estetica di piatti esotici, ma un omaggio alla nostra personale ricerca di senso al nostro lavoro. Una operazione trasversale a tutte le scelte alimentari e a tutte le diete del mondo.
