Di Maria Torrisi
Si tiene saldamente a debita distanza da quelli che devono sembrargli i più pericolosi nemici della cucina: quella etnica e quella locale. E’ proprio tra questi due poli che lo chef Hermes Picone esercita la propria fantasia creativa, immerso nella placida quiete di un piccolo baglio antico, quasi un eremo nascosto nella boscaglia di Nicosia, nel bel mezzo della Sicilia rurale.
A dirlo sono i suoi piatti che uniscono con allegria il vecchio e il nuovo, senza mai scivolare nella trappola delle esagerazioni.
Con la stessa sfrontatezza con cui i guru della moda combinano i tessuti pregiati ai filati sintetici per creare confezioni dai nuovi tagli, lo chef Picone unisce tecniche di cottura un po’ più tradizionali a lavorazioni di cibi importate dall’estero e sposasenza incertezza ingredienti poveri, tipici della cucina regionale siciliana, ad altri poco frequentati e quasi introvabili nei nostri mercati.
Non vuole collocarsi nella schiera dei sostenitori della bontà della cucina regionale, non se la sente di caldeggiare la tesi che i prodotti locali sono quelli di qualità superiore e non si sbracciaaccanto a quanti difendono il pesce locale come migliore ingrediente della cucina siciliana.
“Mi impegno a scegliere il meglio, per questo affondo le mani nelle ricette di tutto il mondo – esordisce il 27enne, avamposto degli chef dell’Urcs nel cuore della Sicilia a presidio della buona cucina e della professionalità, che già rivela la disinvoltura di chi non ama che gli vengano affibbiate etichette che sentirebbe come limiti al proprio estro e alla propria creatività – attingo suggerimenti e suggestioni dai grandi maestri della cucina, di qualsiasi epoca e di qualunque latitudine. Un esempio? Ho trovato che la mollica giapponese panko è perfetta per una frittura gustosa e leggera, e ho strappato ai segreti dell’antico Oriente una speciale tecnica per le scottature veloci, che dona agli alimenti croccantezza all’esterno, ne sigilla il sapore e mantiene la morbidezza e l’umidità naturali all’interno di ogni boccone”.
E’ un fiume in piena lo chef del Baglio San Pietro e sciorina con dimestichezza i termini della cucina internazionale come fossero i nomi dei suoi cari. Eppure, di viaggi in terre lontane, non ne ha fatto neanche uno, ma non sente ancora bruciarne la mancanza, perché, dice, “la capacità di attingere alle cucine dei diversi continenti gli deriva da una grande passione per la gastronomia di tutto il mondo, che adesso soddisfa quasi esclusivamente attraverso i libri”.
“Ho una ricca collezione di volumi dai quali traggo idee ed ispirazioni, scaffali pieni che non smetto mai di arricchire con nuovi libri: dal più classico manuale di Artusi, alle avanguardie dello spagnolo David Munoz – dice soddisfatto, come sa chi riconosce grande valore alla propria fonte – e leggendo viaggio con la fantasia. I libri mi permettono di andare a fondo e di non fermarmi alla superficie delle cose, così studio, ad esempio, le proprietà delle spezie che donano ai piatti i ricchi profumi d’oriente o i selvaggi sentori mediterranei. La lettura però è solo il primo passo del mio approccio alla cucina, il passo successivo è la pratica: dopo aver maturato una nuova idea comincio a provarla, la verifico più volte e in ogni sua parte, dagli ingredienti alle cotture, e poi la testo con gli amici che ritengo più esperti, ma anche con alcuni clienti affezionati, i quali il più delle volte restano così entusiasti e soddisfatti della mia nuova ricetta che magari ritornano per chiedermela ancora, anche se magari non la trovano sul menù”.
Negli orari in cui non è pressato dalle esigenze dettate dal ristorante del baglio antico di Nicosia, lo chef Picone si confina infatti nella sua cucina, che – se non fosse per le attrezzature di ultimissima generazione, “un investimento necessario” da quando è diventato socio della proprietà – sembrerebbe, almeno per l’uso che ne fa, il retrobottega di un antico speziale o il rifugio segreto di un novello alchimista che, lontano da tutti, impasta, ingloba, irrora, emulsiona, sferifica, crea.
E come gli eremiti di epoche lontane, Hermes Picone è un grande appassionato di erbe, in questa stagione della menta soprattutto, mentre la sua vocazione più spiccata è per i secondi di carne, che può permettersi di studiare a fondo, anche nei tagli più inusuali, perché la macelleria del paese è giusto giusto di suo cognato, ed è da questa felice coincidenza di affetti familiari e di interessi professionali che è nata una bella e virtuosa collaborazione.
“Nella mia cucina-laboratorio passo le ore a studiare come creare nuovi piatti usando anche tagli di carne inconsueti – conferma con l’orgoglio di chi sa di non avere rivali sul campo – o come riproporre in chiave europea le lunghe frollature, tipiche della tradizione più spinta dell’America Latina”.
Hermes Picone ama molto anche i formaggi e le verdure locali, che diventano ghiottonerie per i suoi clienti, “viziati” dalle sue attenzioni. “Quando mi chiedono le patate fritte – spiega il cuoco dallo spirito indomito – mi rifiuto di preparare quelle che tutti conoscono e sanno fare facilmente, e propongo invece le mie, che sono speciali perché hanno attraversato tre diverse fasi di cottura a tre diverse temperature”. L’olio che usa nei suoi piatti è quello buono di frantoio, il pane è cotto a legna. “Tutti particolari che determinano il successo di un ristorante perché è la qualità degli ingredienti – non dimentica di precisare Picone – che fa la differenza. Per questo scelgo con cura ogni prodotto base e considero i miei fornitori parte integrante della mia brigata di cucina”.
Ma la sua è una cucina che al territorio è legata senza rimanerne schiacciata. “Non mi piacciono le esagerazioni – confida senza alcun timore lo chef – e non condivido le prese di posizione dei difensori ad oltranza dei prodotti locali. Non sono tra gli appassionati dei grani antichi, anche se in passato li ho usati anch’io, perché per me non ha senso rinunciare alla pasta che tiene bene la cottura solo perché si subisce il fascino di una moda, di una cultura che potrebbe essere anche passeggera”.
E’ chiaro che lo chef Picone non intende accettare su di sé le maglie di alcun condizionamento. A lui basta studiare e, dai fornelli circondati di libri della sua cucina-laboratorio, allunga lo sguardo oltre la siepe del giardino e si tuffa fiducioso in un mondo che non può avere confini.
Hermes
Di Alberto Cicero
Hermes era messaggero degli Dei. Mitologia e religione greca ci tramandano una divinità rappresentata con sandali, borsellino e cappello alato. Per i romani diventa Mercurio, dio di derivazione etrusca ma con molte caratteristiche simili al “prototipo” di origine greca.Hermes Picone qualcosa di religioso ce l’ha senz’altro. Ma se volessimo trascendere dalla realtà, porremmo lo chef ennese nel Medioevo. Ugualmente con sandali e borsellino, ma soprattutto con un bel saio da priore benedettino. Il “physique du role” c’è tutto, ma è quel “Ora et labora” che gli si attaglia proprio con quella smaniosa ricerca di testi “sacri” e meno celebrati da cui attingere idee, sensazioni, da tramutare in pietanze mettendoci tanto di suo.L’ingegno, innanzitutto. Ma anche una grandissima volontà di sperimentare, ed emergere. E, non ultimo, fare emergere una cucina tutta sua in un contesto tutt’attorno sin troppo plafonato sulla standardizzazione di menu e sapori visti e rivisti.Studia e sperimenta. Un po’ priore (sarà la stazza…) e un po’ alchimista. Un po’ conservatore (per i prodotti dell’ennese e comunque tutti assolutamente legati alla nostra terra) e molto innovatore (tracciando itinerari e percorsi straordinari che suonano e risuonano nelle vallate centroisolane).Hermes è giovane. Studia ed è studiato (come dimostrano già gli apprezzamenti ricevuti). Rivaluta e rinnova. Affonda le mani in un patrimonio di prodotti unici e li rivaluta facendoli fruttare cogliendo risultati con gli… interessi.I risultati sono già eccellenti. Il futuro…. Lo vedremo presto. E di lui sentiremo parlare.
Operazione Culturale
Il parere di Carmelo Barbieri
“L’entroterra siciliano vive una condizione di eterno letargo ed Hermes Picone sta facendo un’operazione culturale di grande importanza – commenta Carmelo Barbieri, presidente dell’Associazione provinciale ennese dell’Urcs -. Ha scelto di restare a Nicosia, di investire nella sua terra, e di importare qui le esperienze gastronomiche delle avanguardie, dalla cucina macromolecolare alle influenze internazionali. La forza che egli ha sta nella sua grande passione per i fornelli e nella sua infinita curiosità per il mondo che lo portano a studiare senza sosta. Lo posso dire senza ombra di alcun dubbio perché ho visto crescere Hermes fin da quando era mio alunno all’Istituto Alberghiero di Enna. E già a 14 anni era un gran divoratore di libri”.
Ricetta:
Di Chef Picone
Spaghetti cotti in acqua di limone primofiore pepe nero e bottarga di tonno rosso
Ingredienti
- 400 gr Spaghetti
- 500 ml Acqua di limone
- qb pepe nero a mulinello
- 200 gr bottarga di tonno rosso
- qb Olio extravergine
- qb sale
Per l'aqua di limone
- 500 ml acqua
- 6 scorze intere limone
Istruzioni
Per l'acqua di limone
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Lasciare in infusione 500ml di acqua con 6 bucce di limone lasciare ad infusione per circa 10/12 ore
Per la cottura della pasta
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Cuocerà gli spaghetti direttamente in padella con l’acqua di limone poco pepe e un pizzico di sale
Portare a cottura e mantecare con un filo di olio evo
Impiattamento
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Inpiattare e completare con pepe nero a mulinello e bottarga di tonno rosso
La storia nel cuore rurale della Sicilia
Non è soltanto la storica “provincia del frumento” (tanto che Enna, il capoluogo di provincia più alto d’Italia, sorge a 931 metri sulla rocca di Cerere, un monte isolato dedicato alla divinità di epoca classica legata al territorio), ma è anche la provincia siciliana che conserva meglio le tracce del passaggio della storiasull’isola.Piazza Armerina, patrimonio mondiale Unesco, è un’attrazione turistica incontrastata con i suoi mosaici della Villa Romana del Casale, o Centuripe con i suoi siti archeologici e la stazione termale di epoca imperiale, Morgantina con la sua ritrovata Dea, o Aidone col suo museo archeologico.Sulle creste rocciose degli Erei si visitano siti in prevalenza di origine medievale, come Sperlinga con la sua fortezza, o Nicosia con il Duomo il cui soffitto a cassettoni è stato per lungo tempo celato da un provvidenziale controsoffitto che ne ha preservato l’unicità fino ai nostri giorni. Nel territorio ennese, dove ancora strade fangose o polverose seguono le curve naturali della terra, alternando rocciose alture a fertili vallate, la storia continua a sopravvivere attraverso manifestazioni come Il palio dei Normanni, a metà agosto, con sfide in costume o la Settimana Santa, per Pasqua, con suggestive vocazioni di origine spagnola in cui schiere di uomini incappucciati portano in processione gruppi statuari che ricordano le stazioni della Via Crucis.