di Maria Torrisi

 

 

 

Hanno lanciato un grido disperato, i produttori agricoli siciliani: il ricavato dalla vendita dei frutti della loro terraottimi per qualità, sapore, dimensioni e integrità del frutto non riesce nemmeno a coprire la soglia minima dei costi diproduzione.

A fronte di un cumulo di spese vive che, per il cetriolo ad esempio, si aggira intorno a quatto o cinque euro al metro di terra coltivata, il ricavato per i produttori agricoli siciliani non raggiunge che un solo euro al metro. C’è un muro troppo alto tra le società commerciali che impongono ai produttori un prezzo stracciato, che nel caso del cetriolo sfiora appena i 20 centesimi al chilo, e la reale capacità contrattuale dei coltivatori locali.

Il mercato libero, con la concorrenza di Paesi nei quali la manodopera è letteralmente sfruttata e i sistemi di produzione non sono sottoposti ai rigorosi controlli europei posti a garanzia e a tutela dei consumatori, sposterebbe altrove l’attenzione dei commercianti palesemente attratti dalla convenienza di un maggiore guadagno.La conseguenza diretta è che in Sicilia il prodotto si perde, resta invenduto, spesso è lasciato marcire sulla pianta, mentre di pari passo si prosciugano le risorse economiche dei coltivatori e con esse anche la loro voglia di scommettersi ancora.

Il video autoprodotto da alcuni di loro, registrato pochissimi giorni fa a Vittoria, nel Ragusano, in una delle serre nelle quali sono coltivate diverse qualità di ortaggi, è diventato subito virale e inpochissime ore è stato cliccato e condiviso da centinaia di migliaia di utenti

Non poteva rimanere sordo a questo ennesimo gravissimo allarme il comparto dei cuochi siciliani, che proprio dei prodotti locali, a chilometro zero, ed espressione del territorio, sono agguerriti sostenitori.

“Le nostre armi sono le padelle e con quelle vogliamo scendere in campo per la difesa del prodotto siciliano – ha dichiarato il presidente dell’Unione regionale cuochi siciliani Domenico Privitera dopo aver condiviso sul sito dell’Urcs il video – e questa volta lanciamo noi una proposta concreta: compriamo noi dai produttori siciliani, direttamente o attraverso un consorzio si vedrà, ma non lasciamo che la nostra economia locale venga così pesantemente offesa e umiliata. Se permettiamo che piano piano si spengano le nostre imprese locali, si sciolgano le forme di economia basata sulla produttività della terra, se passivamente accettiamo che il mercato, con i suoi flussi di denaro e con le sue attenzioni, si faccia attirare altrove, la nostra terra si impoverirà, si ammalerà di inedia, e irrimediabilmente morirà. Non possiamo permettere – ha continuato il presidente degli chef siciliani Domenico Privitera – che la Sicilia perda così ingiustamente la sua ricchezza, le attività agricole e quelle legate all’indotto.

L’agricoltura è proprio il primo, importante anello di una catena economica che molti non vedono nella sua interezza, ma che però, più o meno direttamente, ci coinvolge tutti. Le famiglie senza più reddito da agricoltura, o con una compromessa capacità d’acquisto, non sono più in grado di spendere e non possono più investire tanto da creare un blocco nell’economia di molti altri settori. E’ solo una questione di tempo, ma piano piano, leconseguenze si fanno sentire a cascata in ogni settore e, quando i consumi si contraggono,in tutto il territorio le famiglie ne soffrono.

“Aiutare i produttori siciliani non è soltanto un obbligo morale nei confronti di famiglie locali a noi emotivamente vicine o una risposta generica al vecchio richiamo delcampanile – spiega meglio Domenico Privitera – è soprattutto un nostro dovere, da difensori e custodi della biodiversità, nei confronti della salvaguardia dei prodotti autoctoni siciliani che rischierebbero di essere trascinati dentro il tritacarne della globalizzazione che tutto omologa e snatura.

Per i cuochi il cerchio si chiude quando la domanda si fa secca: come si potranno attrarre clienti e turisti a caccia di sapori locali e veraci se sulle tavole dei ristoranti si troveranno con prevalenza ricette omologate, fatte con materie prime rinvenibili ovunque, che riescono ad esprimere solo sapori appiattiti e standardizzati, senza più alcun aggancio con il territorio? La risposta è che così non si vince, così non si riesce ad essere attrattivi, così i clienti non si guadagnano, ma si perdono.

Lanciamo dunque questa proposta – è l’idea concreta del presidente dell’Urcs–proponiamo noi l’acquisto degli ottimi frutti della terra siciliani che non sono concorrenziali con quelli di provenienza estera, sottoposti ad incerti trattamenti e coltivati senza il rispetto della legalità, e contribuiamo così alla causa dei nostri amici produttori agricoli locali. Di più non possiamo, il passo ulteriore spetta alle organizzazioni di categoria e alla politica, ma intanto noi facciamo la nostra parte”.

 

 

 

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