Norma– L’opera di Vincenzo Bellini debuttò il 26 dicembre del 1831 alla Scala di Milano, il soprano Giuditta Pasta era l’interprete principale. La tradizione vuole che un secolo dopo, nel 1920, veniva battezzata “ La pasta alla Norma”.
Accadde tutto in una cena a casa dell’attore Janu Pandolfini e di sua moglie Saridda D’Urso, con loro c’erano, quella sera, Turi Pandolfini, fratello di Janu, il famoso Attore Angelo Musco, il commediografo Nino Martoglio, Pippo Marchese e Peppino Fazio.
Catania gennaio 1920- Casa Pandolfini
Turi Pandolfini: Iniziata la cena Donna Saridda, fece portare a tavola dalla servitù una serie di prelibatezzi, una sequela interminabile di portate. Sotto ai miei occhi si presentò l’inimmaginabile. Ogni piatto aveva un’anima, una storia, un suo perché. Tuttu appariva comu un’opera d’arti. E tra una portata ed un’altra, vinni u tempu… delle sarde beccafico, a seguire della caponata di mulinciani e dell’agrodolce. Uno dei legami che ci univa era proprio la cultura per il buon cibo. Quella sera, quella sala era diventata per un momento, un luogo sacro, magicu. Saridda era riuscita a farci ritrovare tutti assieme, e così: Teatro, musica e cucina, erano andati unitamente in scena, tutto questo sarebbe bastato a garantire la mia totale legittimità nell’essere presente, lì in quel luogo. Mi prese allora il batticuore quando la servitù ci servì tutte quelle pietanze. Oh quanto ben di Dio!! Quante portate videro i miei occhi poggiarsi sopra la tovaglia di circostanza “damascata con i suoi pizzi macramè” ed i tovaglioli impreziositi di splendidi ricami al tombolo… di un tempo. Uno stordimento sapientemente modulato, il mio, ma anche quello degli altri invitati, nel rovistare tra le portate il cibo che per prima volevo assaggiare tra il mormorio dei piatti. Eravamo tutti felici attorno a quella tavola. Il mio sguardo scivolava tra ogni ben di Dio che le sapienti mani di mia moglie Donna Saridda avevano generato così con tanta grazia e passione. Preso dal desiderio di assaggiare tanta magnificenza, rifiutai, per un attimo di lasciarmi ghermire da una poesia cantata dal mio amico Nino Martoglio, riuscii a coglierne solo frammenti voluttuosi della sua poesia, mentre i soli a rimanere impressi nella mia mente erano gli odori dei piatti. L’estasi mia e dei miei ospiti svolazzava sulla ricchezza prorompente di quella tavola. Fui costretto a reprimere un’inopportuna salivazione, la mia scarsa capacità di concentrazione ebbe a raggiungere l’apice. Oramai, ahimè avevo colto la nota dominante della sinfonia di tutte quelle persone sedute attorno a me. Signori miei arrivò il momento dell’annuncio inaspettato delle sarde a beccafico, ma si può? Bedda Matri!! Alla sola loro vista, risultammo tutti esterrefatti, riuscimmo a collocarle per gradevole aspetto in un punto indefinito della gamma cromatica a cavallo tra il bronzo e l’oro… sublime, sublime veramente tutto. La cipolla, poi, a cipudda in agrodolce di donna Saridda, quella, diciamocelo pure, quella non si può capire, non ci sono le parole giuste, annegai allora volutamente i miei sensi, senza nessuna costrizione, proponendomi all’assaggio dei trancetti di pesce spatola fritta, e di tutti quei piatti con profumi così immediati, intensi. Si sciolgono in bocca e dardeggiano sulla mia lingua, sulla quale rimane ancora vergine la premonizione di un sapore che riunisce l’aspro dell’aceto con il dolce dello zuccaro. Quei gusti, a casa di mio fratello, riescono di volta in volta a cogliermi di sorpresa, e la fame non volle cedere, in alcun modo, il passo alla sazietà. A ucca è quantu n’aneddu, si mangia turri, palazzi e casteddu. Eravamo tutti compiaciuti, e avevamo più volte provato l’estasi per tutta quella roba? Mmmmmm… d’improvviso la porta centrale della grande sala si spalancò, intravedemmo nuovamente per prima mia moglie Saridda, seguita dalla servitù, la quale si accingeva a portare a tavola un’enorme piatto di ceramica di Caltagirone colmo a più non posso. Vedendolo, mio zio Angelo Musco esclamò azzardatamente: “taliati l’Etna”, “a muntagna”. Certo capimmo subito che si trattava di un piatto di pasta. Era necessaria la poesia incomparabile di quel piatto maestoso, la buona compagnia, e la magia che si respirava in quella tavola, per farci capire che quel momento sarebbe stato indelebile per noi catanesi. Oh Dio, portava con se l’aroma indiscusso del basilico ed il baccano dei mercati storici della pescheria. Una nuvola di scaglie di ricotta salata lasciava intravedere timidamente adagiate, quasi per caso, delle fette dorate di melanzana fritte. Poi a chiudere la suggestione dello splendido piatto, foglie di di amabile basilico, che da lì a breve inondò con il suo profumo l’intera sala. Rimanemmo tutti senza fiato!! Fu allora che Nino, Nino Martoglio, da galante poeta qual era volle complimentarsi con Saridda, l’autrice di tale MACNIFICENZA.
Nino Martoglio- “Signora Saridda, chista è ‘na vera Norma!“.
Saridda arrossì, ma si compiacque, e ci invitò ad apprezzarne anche il gusto.
Donna Saridda lei ci ha fatto assaggiare Catania disse Nino…
Janu Pandolfini- Nino, allora a chi lo dedichi questo piatto. Egli rispose: Un omaggio al Cigno catanese, il nostro benemerito Vincenzo Bellini e alla sua straordinaria opera “Norma” .
Turi: Fu allora che il tempo mi apparve deliziosamente breve e lungo insieme attorno a quella tavola. C’era tanta esultanza e al contempo tanta semplicità, rimpiazzata così in fretta, ahimè, dalla difficoltà di noi esseri umani di provare piacere, oramai, solo per quel piatto “ La Norma”. Fu allora che assaggiandolo “ho rubato l’odore dei sensi”… estasi… Estasi…
Janu: Poche volte mi sono tuffato in quel modo in un piatto preparato da mia moglie, come ci si tuffa nell’ignoto. Impossibile tenere il conto, ed ogni volta ho provato un piacere autentico. Mai così intenso come quel giorno, a casa mia, in quella tavola, tra amici, ero felice. Fu allora che mi abbandonai alla più primitiva delle lussurie, passando vicino a quel piatto di Norma, incurante, avevo intinto un dito nella salsa di pomodoro, come quando al bordo di una barca che si muove placida, lasciamo scorrere la mano sul filo dell’acqua fresca, e vi confesso trovai piacere, rotto d’improvviso dall’imbarazzo. Mi fu concesso, solo, in quanto padrone di casa. Fu uno stordimento quello che varcò la soglia dei miei denti. Chista è la storia di un Trionfo.
Turi: Il primo boccone di Norma invita a una masticazione lenta e flessuosa che di certo non ha lo scopo di fare cambiare natura all’alimento, ma di certo di assaporarne l’essenza, era la pasta, ma dovevo ancora incontrare il buon sugo, quello genuino, senza artifizi. Toccava poi alle fette tonde delle melanzane fritte, tenaci per carnosità segreta, che si recidono sotto i denti dopo una lieve resistenza. In bocca esplode l’intera tavolozza delle sensazioni assaggiando in un solo boccone, e non a caso la ricotta salata che cede il passo timidamente al basilico fresco; è come se il cielo si fosse poggiato sulla lingua.
Janu: Eppure Nino Martoglio possedeva le due armi dei duellanti: la penna e l’audacia della sua prosa. La sua prosa era nettare per noi siciliani, era ambrosia, un inno alla gioia, ogni volta a sentirlo mi si attorcigliavano le budella, e poco importava che parlasse di cibo o di altre cose, a risplendere era sempre la parola. E quella sera ciò che mi colpì fu proprio la parola “Norma”.
Offuscato dai successi effimeri, e diciamocelo pure, da qualche bicchiere di vino di troppo, Nino Martoglio, attorno a quel tavolo, non vedeva la verità nemmeno in me, suo amico, attore cabarettista. Così il Martoglio seduto al mio fianco sinistro, si avvicina verso me, i nostri nasi quasi si toccano. Dimmi Janu, dimmi!! Mi auguro che a conclusione di questa fantastica cena ci siano dei cannoli di ricotta…
Si Nino certo, gli dissi, certo che ci sono. Con stupore mi accorsi che, quella mia incauta risposta, ancor prima di appurare che i cannoli in cucina erano stati preparati da mia moglie Saridda, era stata azzardata. E che potevo fare? L’ospite è sacro, quindi mi preparavo a schiattare prima del tempo… Chiamai ad alta voce Saridda. Mi irrigidii in attesa del peggio, Si avvicinò al tavolo, venne verso di me e le chiesi: Saridda i cannoli, i cannoli ci sono? Riprendo fiato. Cannoli Nino disse? Morii, pensando ad un no… Cannoli si… si che ci sono. Avevi dubbi?
Calogero Matina